Pir meu cori alligrari

Pir meu cori alligrari,
chi multu longiamentisenza alligranza e joi d’amuri è statu,
mi ritornu in cantari,
ca forsi levimentida dimuranza turniria in usatu di lu troppu taciri;
e quandu l’omu ha rasuni di diri,
ben di’ cantari e mustrari alligranza,
ca senza dimustranza
joi siria sempri di pocu valuri:
dunca ben di’ cantar onni amaduri
Stefano Protonotaro

La stanza dell’amore e il suo mosaico nella villa di P.zza Armerina, settembre 2015

“Per rallegrare il mio cuore, che molto a lungo è stato senza allegria e gioia d’amore, io riprendo a scrivere poesie, perché potrei facilmente trasformare in un’abitudine l’indugio nel troppo tacere; e quando l’uomo ha un motivo per poetare a buon diritto deve cantare e dimostrare allegria, perché, senza una dimostrazione esteriore, la gioia sarebbe sempre di poco valore: dunque ogni innamorato deve a buon diritto poetare.” 

Questa è la prima stanza della più nota canzone del poeta siciliano Stefano Protonotaro, formata da endecasillabi e settenari. Del suo autore si sa ben poco; egli è forse identificabile con uno Stefano da Messina, notaio presso la corte di Federico II, che, oltre a scrivere poesie secondo lo stile della Scuola Siciliana, tradusse dal greco in latino due trattati arabi di astronomia che dedicò a Manfredi, figlio di Federico. 

Lo studio della Scuola siciliana è di fondamentale importanza per la comprensione della nascita e dello sviluppo della letteratura italiana. Inventori della prima poesia d’arte italiana, i siciliani consegnarono nelle mani dei Toscani una lingua e una poetica che sarebbero diventate le fondamenta di un nuovo modo di fare letteratura.

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