Intervista ad Alessio Mamo, WPP 2018

Nel 1955 un gruppo di fotografi olandesi organizza un concorso internazionale, il Word Press Photo, con lo scopo di esporre il proprio lavoro di giornalismo ad un audience globale. Fondano un’organizzazione no profit, creativa ed indipendente. Oggi é il riconoscimento mondiale più ambito in fotogiornalismo.

Alessio Mamo è un fotografo siciliano che ha iniziato la sua carriera nel 2008, concentrandosi su tematiche sociali, politiche ed economiche dei nostri giorni e che copre ampiamente le questioni relative allo spostamento e alla migrazione dei rifugiati dalla Sicilia fino al Medio Oriente e all’Asia. Una sua foto, il ritratto di una bambina di 11 anni sfigurata in viso, è stata selezionata nella categoria People del World Press Photo 2018.

Manal, foto di Alessio Mamo WWP 2018

Alessio, la tua foto è candidata al prestigioso WPP. Una singola foto che racconta una storia. Qual’é la storia?

Questa foto l’ho scattata a luglio del 2017 per un progetto sull’ospedale di chirurgia ricostruttiva MSF ad Amman. La foto descrive Manal, una ragazzina di 11 anni sfigurata nel viso a causa di un esplosione nella città di Kirkuk, Iraq. Lei è una bimba sempre sorridente e felice nonostante la sua condizione non facile e partecipa a tutte le attività per bimbi in ospedale. Appena sono entrato nella sua stanza e l’ho vista con la maschera, mi ha colpito molto, e ho chiesto a lei e la mamma se potevo fotografarla anche così.

Immagino avrai fatto altre foto alla bambina, ma hai scelto di presentare questa. Perché?

Per il progetto commissionatomi da MSF, ho dovuto scattare a Manal diversi ritratti anche senza maschera. Ho deciso di presentare questa al WPP perché credo che sia una foto che emozioni anche a causa dei suoi contrasti visivi. Ricorda tanto una piccola eroina di qualche fumetto, anche se Manal lo è anche nella realtà!

Nelle tue foto, temi di rilevanza sociale, politica ed economica, spesso tragici. L’importanza del documentare…

Certo! Il fotogiornalismo non potrà mai cambiare il corso della storia, ma l’importanza di documentare certi avvenimenti, spesso tragici, rende consapevoli, e la consapevolezza può condizionare azioni e decisioni anche della politica.

In fotografia esistono vari generi. Tu perché hai scelto di diventare fotogiornalista?

In realtà non c’è stato un momento esatto in cui ho scelto di diventare fotogiornalista. Da quando ho fatto il difficile salto nel buio di trasformare una passione in professione, ho seguito sempre tematiche e soggetti vicini a quelli che erano i miei interessi.

L’essere nato in Sicilia, quanto ha influito sulla tua formazione professionale?

La Sicilia è un pezzo di mondo che rappresenta tutte le facce del pianeta: dalla povertà alla bellezza. Più in generale direi che il bagaglio culturale che i fotografi italiani si portano dietro, rende l’Italia il paese che sforna più talenti nel campo del fotogiornalismo.

Chi sono i tuoi punti di riferimento, non necessariamente in fotografia?

Quand’ero agli inizi della mia carriera mi ispiravo molto ad Alex Webb e Hans Madej, quest’ultimo mio primo maestro. Nella vita di tutti i giorni il mio riferimento più importante è la donna con cui vivo e condivido i miei progetti.

Bresson girava sempre con la macchina al collo e al “momento decisivo” scattava. Eugene Smith entrava in simbiosi con i luoghi e le persone prima di fotografare, potevano passare anni per finire un progetto. Tu che rapporto hai con la fotografia?

Non amo la mia macchina fotografica. Per me è un mero strumento di lavoro come può essere la penna per uno scrittore o la falce per un contadino. L’atto dello scatto è proprio l’ultimo di una serie di eventi preparatori a quest’ultimo. Passano gli anni ma continuo a nutrirmi di fotografia, sia come professionista che come fruitore.

“La macchina fotografica é un mezzo e la fotografia é interpretativa”. Guardando le tue foto sulla crisi dei migranti in Sicilia, a me arriva un messaggio sulle condizioni disumane di molti di essi, dal luogo dove vengono, ai luoghi dove arrivano. C’è una foto notturna nel ghetto di Campobello di Mazara, dove migranti che lavorano nei campi vivono in baracche di plastica e legno, senza servizi, né elettricità. Se non ci fosse stata la didascalia, avrei pensato ad una baraccopoli in Africa…

In teoria una buona foto dovrebbe avere tutti gli elementi necessari da non lasciar spazio ad interpretazioni, ma spesso non è così. Nel foto giornalismo le immagini raccontano storie a cui spesso viene associato un racconto scritto. Le parole aggiungono informazioni che le immagini non possono riportare e viceversa.

Il mestiere di fotoreporter ai tempi dei social, dove molti scattano e mandano gratis ai giornali. Spesso ci si demoralizza. Che consigli daresti a chi vuole intraprendere questa strada? Come ci si muove e qual’è la difficoltà maggiore?

Studio, pazienza e tanta passione sono la base per chi vuol intraprendere questa strada. Non ci sono delle ricette preconfezionate. Bisogna semplicemente essere se stessi e seguire il proprio istinto e le proprie storie con perseveranza. La difficoltà sta oggi nel confrontarsi con un mercato in crisi e sempre in cambiamento. Però questo può spesso risultare un alibi perché al giorno d’oggi si può ancora vivere con la fotografia.

Dici che di questo mestiere “si può ancora vivere”. Parere discordante con quello della Letizia Battaglia per esempio, che consiglia ai giovani di trovarsi comunque un altro lavoro per sostenere la propria fotografia, con cui sono d’accordo. Questo prima di affermarsi ovviamente.

Cara Mara, questo è un problema annoso. Letizia Battaglia fa benissimo a consigliare ai giovani ragazzi di trovarsi comunque un altro lavoro per sostenere la propria fotografia. Io parlo della mia esperienza personale. Non nego che senza il sostegno iniziale della mia famiglia sarebbe stato tutto molto più difficile. Però è anche vero che per raggiungere certi livelli non puoi non dedicare il 100% del tuo tempo e delle tue energie alla fotografia. Quando dico che si può ancora vivere di fotografia intendo che molti fotografi, ovviamente ad alti livelli, riescono tramite assegnati, progetti personali, grant e awards a fare della fotografia il proprio mestiere. Non dico che è facile, anzi, ma ancora si può.

Le foto di Alessio Mamo sono state pubblicate su importanti riviste internazionali come TIME, Newsweek, Le Monde, Der Spiegel, The Sunday Times, Stern, National Geographic, Geo, L’Espresso, The Guardian, Le Nouvel Observateur, Focus Historia, Marie Claire, e altri ancora.

intervista pubblicata su Sud Press, 2018

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